Sulla pelle dei giovani 

e del loro entusiasmo

(A Lorenzo Parelli)

Data di pubblicazione: 24-gen-2022

Se un ragazzo a 18 anni si trova a fare il P.c.t.o. in un’azienda privata, è molto più che probabile che ne sia contento, che sia entusiasta di alzarsi la mattina e andare a lavorare, per di più (si suppone) andando a fare il lavoro per cui sta studiando. Ed è più che probabile che di ciò che rappresenta per l’azienda quella sua prestazione lavorativa non ne abbia la minima idea per il semplice fatto che a lui non importa cosa c’è dietro; ha 18 anni, sta finendo le superiori e ha già messo piede nel “mondo del lavoro”, le cose non potrebbero andare meglio.

Se un ragazzo a 18 anni si trova a lavorare gratis per un’azienda privata e questa cosa gli viene presentata come il primo passo verso l’ingresso nel mondo degli adulti, quelli che ogni giorno (si suppone) si alzano e vanno a lavorare, significa che già si immagina economicamente indipendente, che è solo questione di tempo. L’importante, per ora, è rimpolpare il curriculm (dello studente, della persona?) così da essere appetibile per le aziende presso cui invierà la candidatura.

Se un ragazzo è entusiasta di fare tutto ciò, a 18 anni, molto probabilmente è stato indirizzato dalla famiglia, le cui condizioni economiche non sono tali da poter pagare un percorso di studi lungo come quello che porta alla laurea, figuriamoci al post-laurea. E qui l’“…anche se privi di mezzi…” dell’articolo 34 della Costituzione viene meno con leggiadria. Ma c’è un’altra eventualità, che la scelta sia secondaria a un percorso di valutazione tale per cui si è sempre lasciato intendere a quel ragazzo che lo studio non fa per lui. Il messaggio è stato introiettato alla perfezione e, da buona profezia che si autoavvera, ecco che la “scelta” è ricaduta su un istituto professionale, naturalmente venduto come un’ottima opzione per chi, come lui, ha dimostrato scarsa propensione allo studio. Meglio una scuola che favorisca un rapido e concreto ingresso nel mondo del lavoro. Un lungo corso di trasformazione da persona in capitale umano.

Da tutto questo cosa emerge? Semplicemente che in un sistema classista le probabilità per un ragazzo di 18 anni di morire sul lavoro quando ancora sta sognando di trovarne uno (perché ciò che non è pagato non è lavoro, è sfruttamento), che le possibilità che provenga da una famiglia della classe operaia o della piccola borghesia, sono altissime. E tutto ciò è perfettamente legale!

Al basso continuo della precarizzazione del lavoro ci si deve abituare. L’idea di far lavorare gratis non sarebbe, a rigor di logica, accettabile, se non venduta con un bel fiocco sopra: e il fiocco, come al solito, è il linguaggio neoliberista. Per dirla con Marta Fana: “Gli studenti si abituino fin da subito all’obbligo di essere sfruttati. Il cambio di passo tra la scelta e la coercizione, cioè l’obbligo, è avvenuto con la «buona scuola1».”2

Lo stesso acronimo P.c.t.o. (Percorso per competenze trasversali e l’orientamento) è un agglomerato di tutta la rapacità linguistica capitalista e classista, che si manifesta in ciò che manca, soprattutto: il termine “lavoro”. E dire che Gramsci dava all’attività di studio la stessa dignità. Ma chi legge più, Gramsci?

E’ ormai urgente non solo l’abolizione dell’alternanza scuola-lavoro, ma anche una rimodulazione del linguaggio e del pensiero che circolano nel mondo dell’istruzione, perché torni a essere il luogo per eccellenza di formazione delle persone, di sviluppo del pensiero critico e di autoconsapevolezza reale.

Ma Lorenzo Parelli non potrà assistere al cambiamento. Facciamo che la sua morte non sia inutile.

Ai suoi cari, tutta la nostra vicinanza.


1 Legge 107/2015.

2 Fana M., Non è lavoro, è sfruttamento, Laterza, Bari-Roma, 2017