È arrivato il 25 aprile!

Data pubblicazione: 24-apr-2021 8.47.56

Pavia. Partigiani sfilano tra due ali di folla (https://lombardia.anpi.it/voghera/gallery/index.html)

Quando suona la campana

«La radio tuonava, don Luigino adoperava tutte le ore di scuola che non passava a fumare sulla terrazza, concionando ad altissima voce (lo si sentiva dappertutto) ai ragazzi, e facendogli cantare “Faccetta nera, bella abissina” …» (1) Così Carlo Levi, nel suo testo più celebre, descrive l’attività educativa del maestro don Luigino, fascistissimo podestà del paese di Gagliano (Agliano, nella realtà), dove l’artista era stato mandato al confino in quanto sovversivo. In un’altra scena ne descrive gli strumenti del mestiere, che si esaurivano in una lunga bacchetta, tale da non doversi alzare dalla sedia per punire qualche alunno troppo vivace. Non possiamo far altro che immaginare anche l’arredamento di quella sorta di scuola, con le foto di Vittorio Emanuele III, S.A.R., e del Capo, a cui gli alunni dovevano fare il saluto a braccio teso tutte le mattine, appena entrati in classe. Possiamo anche immaginare i libri di testo, infarciti di propaganda e inneggianti alla guerra.

Che la scuola abbia un ruolo centrale nella formazione delle giovani generazioni, i fascisti lo sanno benissimo, tanto da portare avanti, dal 1923, una grande riforma, che prende il nome di Giovanni Gentile, filosofo e ideologo del fascismo. Molta l’attenzione all’esteriorità. I docenti devono iscriversi al P.N.F., gli accademici devono prestare giuramento di fedeltà al fascismo (in dodici rifiuteranno, accettando le conseguenze del gesto). Le donne (ne abbiamo parlato (2) perdono la possibilità di insegnare le materie principali dei diversi indirizzi d’istruzione.

Gli alunni passano buona parte del tempo a prepararsi per le parate del sabato. Fino al 1938, quando con le leggi razziali arriva l’esclusione degli ebrei (cosa poi vorrebbe dire “ebrei”?) dalle scuole.

Vent’anni (venti!) di scuola fascista, ha avuto l’Italia. Vent’anni di umiliazioni per studenti e insegnanti. Vent’anni di saluti romani e camicie nere, con l’analfabetismo che, nelle periferie e soprattutto nel sud del Paese, raggiungeva percentuali altissime tra le classi povere.

Durante quel lungo e funesto arco di tempo, lo sparuto gruppo di docenti universitari ufficialmente contrari alla follia fascista cresce. Sempre più insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado si ribellano. Viene in mente Andrea Camilleri, quando raccontava di quel suo professore, al liceo, che si vergognava così tanto della camicia nera che era costretto a indossare, da rimanere tutto il tempo con il cappotto chiuso fino al collo. Un piccolo gesto, forse, ma significativo. Sta arrivando il 1943. Con l’8 settembre inizia la lotta antifascista. In centinaia lasciano le cattedre per salire in montagna, uomini e donne. Insegnanti.

Si sono visti strappare dalle classi gli alunni ebrei senza poter reagire. Sono stati costretti a pronunciare in classe parole che non coincidevano con il loro pensiero, a cui erano legate dall’unico sentimento possibile: la paura.

E allora la lotta, la Resistenza, è duplice. Per sconfiggere il fascismo, per aprire la scuola a tutti, come recita l’articolo 34 della Costituzione, che dopo quel «tutti» ha un bel punto, segno forte della punteggiatura che impone di fermarsi. Cittadinanza, condizione economica, sociale, religiosa, o qualunque altro elemento discriminante trovano in quel semplice tratto grafico un ostacolo invalicabile. «La scuola è aperta a tutti.»

Tanti sono gli insegnanti partigiani. C’è Alba Dell’Acqua Rossi, a cui i fascisti, a dodici anni, avevano bruciato tutti i libri in piazza. La sua risposta è una laurea presa velocemente e bene, poi l’insegnamento.

.. Io sono stata partigiana in Val Sesia, nel Cusio e nell’Ossola e certi problemi mi si sono affacciati durante i rastrellamenti…Era proprio nel momento del rastrellamento, quando i partigiani dovevano nascondersi e spesse volte per parecchi giorni, che si sentiva il bisogno di parlare” (3)

La maestra Marcella Chiorri Principato, che scrive messaggi con l’inchiostro simpatico e a cui i fascisti assassinano il marito, Salvatore Principato, in Piazzale Loreto, il 10 agosto 1944. Maria Agamben Federici, poi eletta all’Assemblea Costituente. Raffaele Persichetti, tra i primi a cadere, nel 1943, nel tentativo di difendere Roma dall’arrivo dei nazisti. Insegnava lettere.

Donne e uomini della Resistenza, insegnanti, che hanno dato ai propri studenti la più grande delle lezioni ricorrendo al migliore dei metodi: combattere la tirannia con l’esempio.

Celebriamo questo 25 aprile con un pensiero alle docenti e ai docenti partigiani, perché hanno tracciato per noi la rotta da seguire. Ci hanno indicato la direzione. Teniamolo sempre in mente, quando suona la campana.

(1) Levi, C., Cristo si è fermato a Eboli, Einaudi, Torino 1945.

(2)https://sites.google.com/a/flcgil.it/pavia/notizie/mussolinihafattoanchecosebuoneleidioziechecontinuanoacircolaresulfascismodiffilippibollatiboringhieritorino2019.

(3)Dichiarazione tratta dalla voce “Alba Dell’acqua Rossi” in “Donne e uomini della Resistenza”, consultabile all’indirizzo web: https://www.anpi.it/donne-e-uomini/2930/alba-dellacqua-rossi. L’archivio online dell’A.N.P.I., contiene oltre tremila biografie di partigiani. Dal 19/04/2021 è possibile consultare anche il sito wen “NOI PARTIGIANI – Memoriale della Resistenza italiana” (https://www.noipartigiani.it/), promosso sempre dall’A.N.P.I. Si tratta di un’iniziativa di grande valore storico e documentario promossa da Gad Lerner e Laura Gnocchi (vedi la nostra recensione al libro Noi Partigiani)

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