Disegno di legge di bilancio: non tutte le risposte vanno nella giusta direzione
Data di pubblicazione: 15 novembre 2021
Disegno di legge di bilancio: non tutte le risposte vanno nella giusta direzione. Per la scuola necessaria la mobilitazione
Una prima significativa inversione di tendenza su università e ricerca ma corredata da un attacco frontale all’autonomia del CNR. Scuola umiliata e trattata di nuovo come il capitolo di bilancio su cui risparmiare a partire dal personale.
Durante il Consiglio dei ministri del 28 ottobre 2021 è stato varato il disegno di legge di bilancio 2022. Il testo dopo quasi due settimane è stato finalmente presentato alle Camere che avranno tempi incredibilmente ristretti per poterlo esaminare ed emendarlo. Si tratta di una modalità che si è consolidata in questi ultimi anni rendendo di fatto sempre più residuale l’intervento del Parlamento, mentre sempre sono più decisive le “mediazioni” fatte in fase di elaborazione del testo.
Dalla prima legge di bilancio del Governo Draghi, una legge di bilancio finalmente “espansiva” dopo due anni di pandemia e con le risorse del PNRR da investire, ci si aspettava molto soprattutto sui settori della conoscenza (scuola, università, ricerca e AFAM). In particolare investimenti strutturali in questi settori dichiarati ancora di più strategici in questa complessa fase.
Le risposte a queste aspettative non sono omogenee.
UNIVERSITÀ
Sull’università vi è un cambio di passo sulle risorse investite (che arrivano a regime, dal 2026, a 865 milioni annui), frutto lo diciamo con chiarezza delle proposte e delle mobilitazioni di cui la FLC CGIL è stata protagonista in questi mesi e anni. Abbiamo detto instancabilmente che la priorità doveva essere il fondo ordinario e sul fondo ordinario finalmente dopo anni si è iniziata a porre la giusta attenzione.
Gli interventi previsti sono una prima inversione di tendenza non ancora sufficiente alla necessaria decisa espansione del sistema universitario. Sarà comunque importante presidiarne l’utilizzo e la destinazione evitando il ripetersi dell’uso di meccanismi premiali che rischiano di ampliare e non ridurre difformità e sperequazioni. I principali interventi sono:
un significativo incremento delle risorse dell’FFO, anche se solo dal 2024 (75 milioni per il 2022, 300 milioni per il 2023 e 640 per il 2024, 690 per il 2025 e di 740 a decorrere dal 2026) per le assunzioni di professori universitari, ricercatori di tipo b ed anche il personale tecnico-amministrativo delle università, in deroga alle vigenti facoltà assunzionali. Qui sarà fondamentale verificare l’intreccio con il DDL pre-ruolo e la previsione di norme volte ad assorbire l’attuale precariato. Importante anche il fatto che siano finalmente previste risorse per l’assunzione di personale tecnico-amministrativo.
un importante finanziamento di 50 milioni di euro a decorre dal 2022 finalizzati alla valorizzazione del personale tecnico-amministrativo delle università statali
15 milioni di euro per il 2022 e 30 milioni annui a decorrere dall’anno 2023, destinati per all’adeguamento dell’importo delle borse di studio concesse per la frequenza ai corsi di dottorato di ricerca.
In questo quadro va segnalata l’incomprensibile assenza di risorse destinate alla decisa riduzione delle tasse universitarie, considerato che siamo il Paese nella U.E. con minor numero di giovani laureati e con un livello di tassazione tra le più alte. Su questo punto è necessario che ci sia una profonda modifica e siamo pronti a sostenere tutte le iniziativa di mobilitazione necessarie insieme agli studenti.
RICERCA
Anche sulla ricerca dal punto di vista dei finanziamenti c’è un’inversione di tendenza ma con una impostazione totalmente sbagliata. Manca una visione unitaria dell’intero sistema e anche le risorse destinate alla valorizzazione del personale sono destinate esclusivamente agli enti vigilati dal MU, ciò è inaccettabile sotto il punto di vista contrattuale inconcepibile dal punto di vista del sistema della ricerca e determina il rischio concreto di ingiustificabili disparità di trattamento con i lavoratori che operano negli altri enti di ricerca vigilati dagli altri ministeri. È evidente che la presenza di strumenti per il sostegno della ricerca e per la valorizzazione del personale unicamente per gli enti Mur rappresenta un grave arretramento nel percorso di creazione di un sistema della ricerca unitario e coerente.
Gli interventi riguardano in particolare:
l’incremento del fondo ordinario di 90 milioni dal 2022 che diventano 100 dal 2025. Di questi 20 milioni di euro a decorrere dall’anno 2022, sono finalizzati alla valorizzazione del personale tecnico- amministrativo degli enti pubblici di ricerca vigilati dal MUR e 40 per il passaggio al livello superiore dei ricercatori e tecnologi inquadrato al terzo livello (livello base di ingresso). La restante quota del finanziamento (30 milioni fino al 2024 che diventano 40 a decorrere dal 2025) è destinata agli EPR vigilati dal MUR ad eccezione del CNR, con il vincolo di destinare 2,5 milioni di euro al completamento del processo di stabilizzazione (art.20 DLgs 75 del 2017).
Lo stanziamento di 30 milioni di euro per l’anno 2023 per promuovere e sostenere l’incremento qualitativo dell’attività scientifica degli Enti vigilati dal MUR.
L’incremento della dotazione del “Fondo italiano per la scienza” di 50 milioni di euro per l’anno 2023 e di 100 milioni di euro a decorrere dall’anno 2024.
L’istituzione del “Fondo italiano per le scienze applicate” con una dotazione di 50 milioni di euro per l’anno 2022, di 150 milioni di euro per l’anno 2023 e di 200 milioni di euro per l’anno 2024 e di 250 milioni di euro a decorrere dal 2025.
C’è poi un punto che deve essere considerato a parte. La concessione di un contributo complessivo di 60 milioni (di cui 10 finalizzati al completamento delle stabilizzazioni, importo che risulta ancora insufficiente rispetto al personale avente i requisiti) a decorrere dal 2022 che diventano 80 milioni a decorrere dal 2023 al Consiglio nazionale delle ricerche.
Queste risorse sono però in qualche modo subordinate ad nuovo ed ennesimo piano di riforma dell’ente che dovrà essere vagliato da una sorta di organismo esterno che sembra tanto di natura commissariale. Questo metodo limita l’autonomia e indipendenza del più grande Ente di ricerca del Paese, esautora e marginalizza gli organi statutari e con essi la rappresentanza dei lavoratori in essi presenti (garantita dalla legge 218/2016) e soprattutto ignora la comunità scientifica interna con la proposizione di una riorganizzazione che ancora una volta viene calata dall’alto, con obiettivi per altro neanche definiti. Noi non accetteremo questa deriva e ancora una volta difenderemo l’autonomia e la democrazia nella ricerca pubblica.
AFAM
Sull’AFAM vengono stanziate risorse aggiuntive per l’introduzione di nuovi profili professionali negli istituti oggetto di statizzazione, istituito un piccolo fondo per la valorizzazione del personale, reintrodotti i compensi per i presidenti e i nuclei di valutazione delle istituzioni. Interventi limitati in attesa di dare concreta attuazione ai significativi impegni previsti nella precedente legge di bilancio.
SCUOLA
In questo quadro gli interventi che riguardano la scuola non solo sono lontani dai grandi investimenti più volte evocati ma sono un autentico schiaffo per un milione e duecentomila lavoratori e alle esigenze delle scuole.
Il patto per la scuola prevedeva risorse specifiche e aggiuntive per il rinnovo del contratto.
La legge di bilancio ne introduce pochissime e nel modo sbagliato con un fondo intitolato alla dedizione nuova unità di misura di conio draghiano. Dopo il metro e il chilo ora abbiamo la dedizione.
Una definizione patetica che richiama la fallimentare stagione renziana, un insulto a chi lavora ogni giorno e ha dimostrato nella pandemia quanto sia centrale il lavoro la scuola per il paese.
Vengono stanziati peraltro 240 milioni di euro del tutto insufficienti per un aumento dignitoso e rapportato al valore della professione.
Ugualmente incredibile lo stanziamento di 300 milioni di euro per prorogare i contratti covid solo per il personale docente come se non sapessero che le risorse sono state utilizzate in gran parte per assumere collaboratori scolastici ossia il personale che non è destinatario delle proroghe previste. Ciò è miope e inaccettabile.
I previsti interventi riguardo alle deroghe ai criteri di costituzione delle classi sovraffollate nelle scuole caratterizzate da dispersione e disagio economico-sociale sono effettuati senza risorse aggiuntive.
Anche l’introduzione dell’insegnamento curricolare dell’educazione motoria nella scuola primaria nelle classi quarte e quinte è effettuata nell’ambito del personale che va in pensione. E cioè a detrazione delle future assunzioni. Ma in questo caso non è solo una questione di risorse che non vengono stanziate ma anche di scelte che riteniamo sbagliate sotto il profilo pedagogico e metodologico-didattico, che si muovono nella direzione, assai discutibile, di un insegnamento specialistico.
Inaccettabili risultano le motivazioni con cui si giustifica, nella relazione illustrativa, l’incremento del FUN dei dirigenti scolastici con toni quasi diffamatori nei confronti del personale ATA. Tutto ciò proprio in un provvedimento che non spende nemmeno una parola per questo personale. Non esistono solo i super dirigenti che fanno tutto e per i quali i DSGA ed il resto del personale ATA sono solo un intralcio.
Totalmente ignorate tematiche relative al superamento del precariato, alla mobilità dei docenti e dei DSGA neo assunti, all’assegnazione di un assistente tecnico ad ogni scuola del primo ciclo, al concorso riservato agli assistenti amministrativi facenti funzione, al potenziamento dell’autonomia scolastica attraverso l’assunzione di dirigenti tecnici (Ispettori scolastici).
Unica nota positiva è la proroga per l’anno scolastico 2022/2023 sul dimensionamento delle istituzioni scolastiche che sono considerate “normodimensionate” a partire da 500 alunni e non più da 600 ma per dare efficacia alla misura è necessario che essa diventi strutturale o almeno a carattere triennale per consentire l’assegnazione di dirigenti scolastici e DSGA in pianta stabile.
Per la FLC CGIL la risposta a queste scelte non potrà che essere la mobilitazione generale di tutti i lavoratori della scuola che parte dall’indizione dello stato di agitazione.